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Nessuna regione vitivinicola può sfidare la Champagne come produttrice del più grande vino spumante del mondo. Vino non vino, frutto di assemblage (unione di vini da vigne diverse), di rifermentazione in bottiglia, di strane e segrete pozioni migliorative, da sempre associato alla baldoria, alla celebrazione, al lusso effimero e alla frivolezza, lo Champagne vive da qualche anno una gloriosa e inarrestabile rinascita d’immagine e una rivoluzione di gusto. Le ultime generazioni dei piccoli vigneron locali, preparati tecnicamente, molto attenti alla preservazione del territorio così deturpato in passato, lavorano oggi in modo autonomo, e sperimentano, imbottigliano, vendono, rischiano in prima persona (recoltant manipulant). In passato, questi stessi piccoli proprietari dipendevano dalle Grandi Maison a cui cedevano le proprie uve, e il mercato era nelle loro mani, dei pochi, grandi nomi e dei loro milioni di bottiglie che imponevano uno stile, un gusto, un’idea di Champagne, quella che più o meno abbiamo tutti in mente, e che è stata la stessa per anni. Mai come oggi invece esiste un’alternativa e a fianco dei soliti nomi –per altro obbligati ad alzare ovviamente l’asticella della qualità, e troviamo bottiglie fenomenali e prodotti che, per quanto spumeggianti, non sono mai state così simili al vino fermo, a una ruralità vivace, a un’idea nuovo di bere e gustare le bolle sempre affascinante ma anche, forse, più rassicurante e gastronomica. Non solo dunque per le grandi occasioni.