HABANA



E’ fuori discussione il peso che il tabacco ha avuto nella vita dei popoli amerindi. Una cosa, piuttosto, ha sempre incuriosito gli antropologi: come si sia giunti ad utilizzare il tabacco per fumare. Il problema è che non basta prendere le foglie e tritarle o arrotolarle. Per essere utilizzabili a tal fine esse devono aver subìto almeno una specie di fermentazione. L’ipotesi più ragionevole è che per qualche fine che ci è sconosciuto – forse per tirarne un succo – si impilassero delle foglie lasciandole poi fermentare. Un occasionale incendio di questo composto avrebbe rivelato che il fumo che si sprigionava aveva caratteristiche particolarmente gradevoli. A soccorrere questa ipotesi vengono molte dichiarazioni di viaggiatori europei: in diverse tribù centroamericane si assumeva il fumo solo in questo modo. Si mettevano in un braciere delle foglie fermentate e si dava loro fuoco; quindi si aspirava il fumo che ne usciva.

Queste attività erano legate al rito e non è un caso che in molti luoghi la coltivazione e il consumo di tabacco fossero riservati ai sacerdoti. Ma poco per volta erano diventate anche un fatto sociale. In effetti dal braciere al rotolo di foglie la distanza non è grande. E fu così  – come rotolo di foglie – che conobbero il fumo Colombo e i suoi compagni quando arrivarono nel nuovo mondo. La tradizione vuole che sia stato proprio un compagno di Colombo, tale Rodrigo de Jerez, il primo europeo a fare l’esperienza del sigaro e poi a fumare regolarmente. Ma presto altri marinai della spedizione presero il vizio e furono sicuramente dei marinai a introdurre quest’usanza nel vecchio mondo.

Il sigaro dunque arrivò in Europa e fu un ingresso in punta di piedi. Nei primi tempi il fumo – e in particolare quello del sigaro – rimase confinato ad una categoria di persone che avevano in qualche modo rapporti col nuovo mondo. Nelle nazioni europee il tabacco stava diffondendosi per le sue vere o presunte virtù medicinali e, all’inizio, veniva consumato soprattutto in polvere. La richiesta in Spagna aumenta ma si cerca anche e sempre più la qualità. E’ nel ‘600 che si scoprono le straordinarie caratteristiche del terreno e del clima della provincia di Pinar del Rio. Ormai i migliori tabacchi sono privilegio reale e i sigari hanno fatto un bel po’ di strada dal tizon pieno di bernoccoli dei primitivi abitatori dell’isola.

Nel 1717 la Spagna stabilisce un vero e proprio monopolio sul tabacco cubano e fa di Siviglia, dove già da più di mezzo secolo esistevano delle manifatture, la capitale del mondo sigariero. Nel frattempo il tabacco ha conquistato l’Europa. E’ una specie di esaltazione collettiva. I signori si infilano la presa nel naso, i popolari masticano le cicche e molti, senza distinzioni di classe, fumano sigaro o pipa.

In Italia il tabacco arrivò alla fine del ‘500 portato da due cardinali, Tornavona e Della Santa Croce, conquistando anche i principi della Chiesa di Roma. Del resto, che il tabacco piacesse ai religiosi quanto ai loro colleghi del nuovo mondo è dimostrato da una bolla emanata nel 1624 da Urbano VIII che proibiva ai preti di fumare – almeno in chiesa. Ma già quando salì al trono nel 1603, Giacomo I d’Inghilterra emanò un furioso editto che condannava come fetida e ripugnante l’abitudine di fumare. Qualche anno dopo Sua Maestà, vista l’inefficacia delle misure prese, decise di tassare pesantemente il tabacco che veniva dalla Virginia. Gentiluomini della vecchia Inghilterra!

Altri erano più spietati e soprattutto meno furbi. Lo zar Michele, primo dei Romanoff, stabilì che chi fosse stato colto a fumare doveva essere frustato. Se era recidivo, prima gli si tagliava il naso, quindi la capoccia. Anche il sultano Amurat IV non sopportava il fumo. I suoi editti comminavano varie pene fino a quella capitale. Risultato? Ancor oggi si dice: fumare come un turco.

Smoking numero 3 anno quindicesimo, 1989.