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Habana. Il mito e la storia 3

lug 27, 2023

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HABANA



E’ legittimo supporre che a portare il sigaro in Italia siano stati gli spagnoli che nel ‘600 bazzicarono Milano e Napoli. E l’usanza si doveva essere abbastanza diffusa se nel secolo successivo si cominciarono ad impiantare anche qui le prime manifatture. Nel 1770, un pittore tedesco che si chiamava Peter Wendler ottenne dal governo pontificio una concessione di cinque anni per fabbricare quelli che allora si chiamavano “bastoni di tabacco”. Attorno a quel periodo piccole manifatture artigianali di sigari cominciano a sorgere anche in Francia, in Germania e in Olanda. 

Il sigaro andava alla conquista del nord Europa. In Inghilterra entrò nel 1814 con i soldati che erano stati in Spagna con Wellington, a combattere Napoleone. Subito si cercò di fabbricarlo in loco con tabacchi provenienti dalle Indie Occidentali. Ma i reduci ricordavano bene che i sigari che avevano fumato in Spagna erano tutt’altra cosa. Così si cominciò ad importarli dalla stessa Spagna e da Cuba. Fu una valanga: nel 1826 arrivarono 26 libbre di sigari, ma già nel 1830 il quantitativo che passava alla dogana era di 250.000 libbre.

Gli Stati Uniti conobbero i sigari cubani nel 1762 in seguito alla spedizione inglese a Cuba. Nel Connecticut si piantarono semenze provenienti dall’Avana e si cominciò a produrre sigari a buon mercato. Ma presto anche negli Stati Uniti fu evidente quello che in Spagna si sapeva da tempo: i tabacchi cubani erano senza uguali. E già nel 1810 gli USA importavano da Cuba 5 milioni di sigari.

Nell’isola si erano intanto migliorate, nel corso del ‘700, le tecniche di coltivazione, di fermentazione, di confezione. Nel 1765 era stata fondata a l’Avana una Reale Manifattura di sigari. In conseguenza di ciò, la Spagna abolì nel 1817 il monopolio che faceva affluire a Siviglia la gran parte del tabacco cubano. Nel 1821 venne poi chiusa anche la manifattura reale dell’Avana e tutti furono liberi di fabbricare sigari e sigarette. Aumentarono i terreni coltivati a tabacco e sorsero nuove fabbriche. Alla fine del monopolio spagnolo era stato tutto un proliferare di piccole aziende, artigiani e coltivatori che si mettevano in proprio. Ma nascevano anche le marche che sarebbero diventate celebri nel corso del secolo. 

La prima fabbrica più o meno indipendente di cui abbiamo notizia era di proprietà di un certo Bernardino Rencurrel e portava un nome destinato a diventare famoso: Cabanas y Carvajal. Era circa il 1810 e si inaugurò il registro del Gotha dei produttori cubani. In quasi quarant’anni furono ammesse soltanto altre quattro marche: Partagas nel 1827, Por Larranaga nel 1834, Upmann nel 1844 e La Corona nel 1845. Ma nel 1848 esistevano già a Cuba 232 manifatture di sigari, che si consorziarono per difendersi dalle imitazioni che, sia in Europa che in America, spuntavano come funghi visto il grande successo degli avana presso i consumatori. Due anni dopo fu iscritta nel registro la prima marca che non fosse di proprietà dei cubani. Gustave Bock era un olandese innamorato di Cuba e dei suoi tabacchi e in pochi anni portò il suo marchio a livelli di eccellenza. Tra l’altro, si attribuisce a lui l’invenzione dell’anello (anilla), per rendere più distinguibile il suo prodotto. Queste fascette divennero sempre più colorate, ornate, preziose. Alla fine dell’800 si arrivò persino a impiegare polvere d’oro e piume di colibrì.

Parallelamente si era migliorato l’inscatolamento. Fino a quell’epoca il sigaro era stato buttato, un po’ alla buona, in cassette di legno di pino che contenevano dieci rotoli da cento sigari ciascuna. Ma le cassette di pino non proteggevano i sigari dal tanfo delle stive, allora si cominciò a usare il legno di cedro, si fecero scatole più piccole e curate. Talune diventarono dei cofanetti perfettamente lucidati, veri e propri capolavori di ebanisteria.


Smoking numero 3 anno quindicesimo, 1989.                                    – segue -


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